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L’omicidio Di Carlo Alberto Dalla Chiesa

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Carlo Alberto dalla Chiesa (Saluzzo, 27 settembre 1920 – Palermo, 3 settembre 1982) è stato un generale e prefetto italiano ucciso, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro, nell’ennesimo vile agguato di Cosa Nostra nei confronti dei servitori dello Stato. Alle 21:15 del 3 settembre 1982, la A112 guidata dalla moglie dell’allora prefetto di Palermo, Emanuela Setti Carraro, venne affiancata da una BMW con a bordo due mafiosi che esplosero una serie di raffiche di AK-47 contro l’auto, uccidendo entrambi. Anche il Carabiniere Domenico Russo, che seguiva l’auto del prefetto, fu ucciso nello stesso attentato da due killers a bordo di una motocicletta Honda.

Carlo Alberto dalla Chiesa aveva combattuto nel Regio Esercito durante la seconda guerra mondiale e si era arroulato nel corpo dei Carabinieri nel 1942, unendosi poi ai partigiani per combattere gli invasori tedeschi. Finita la guerra, Carlo Alberto aveva ottenuto due lauree, una in giurisprudenza e una in scienze politiche ed era poi stato inviato prima in Campania e poi in Sicilia per contrastare il banditismo dilagante nelle due regioni alla fine degli anni ’40. In Sicilia comandò anche il gruppo squadriglie di Corleone, dove indagò sull’allora emergente boss di Cosa Nostra Luciano Liggio, che si era macchiato dell’omicidio del sindacalista socialista Placido Rizzoto, reo di essersi schierato a favore degli agricoltori della zona.

Lasciata la Sicilia nel 1950, Carlo Alberto fu trasferito prima a Firenze, poi a Como, a Milano e infine a Roma, presso il comando della IV brigata. Dal 1966 al 1973 ritornò in Sicilia con il grado di Colonnello al comando della Legione Carabinieri di Palermo. Nel 1970 svolse indagini sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, sposando da subito la pista della droga, che stava arricchendo oltremodo le famiglie mafiose in quegli anni e che De Mauro aveva ripetutamente denunciato nei suoi articoli.

Carlo Alberto collaborò anche con la Commissione Parlamentare Antimafia, presentando un rapporto, quello sui ‘114’, che alzava il velo sul dilagare di Cosa Nostra in Sicilia. Nel rapporto, il Colonnello denunciava centinaia di mafiosi per associazione a delinquere, tra cui numerosi boss del calibro di Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calderone, Gerlando Alberti e Gaetano Fidanzati; le indagini erano state condotte da dalla Chiesa in prima persona e dal suo stretto collaboratore, il capitano Giuseppe Russo, e furono possibili grazie alla collaborazione degli uomini del commissario Boris Giuliano (sia dalla Chiesa che Russo e Giuliano moriranno per mano di Cosa Nostra).

Dal 1973 al 1981 il Colonnello venne ritrasferito al settentrione, a Torino, dove si impegnò nella lotta alle Brigate Rosse. A tal fine, Carlo Alberto creò il Nucleo Speciale Antiterrorismo, che nel giro di 7 anni riuscì a debellare l’organizzazione terroristica.

Prossimo alla pensione, il 6 aprile del 1982, Carlo Alberto dalla Chiesa fu nominato prefetto di Palermo e rispedito in Sicilia, dove Cosa Nostra aveva ricominciato ad uccidere i servitori dello Stato. Si insediò il 30 aprile, giorno dell’omicidio di Pio La Torre. Resosi conto della situazione esplosiva presente nell’isola, Carlo Alberto chiese al governo poteri speciali per combattere la Mafia ma questo, fortemente colluso con Cosa Nostra, si guardò bene dal darglieli.

“Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”, disse Carlo Alberto, forse conscio che veniva mandato al macello, “se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi, non possiamo delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti”.

Per gli omicidi di Carlo Alberto, sua moglie e del Carabiniere Russo sono stati condannati all’ergastolo come mandanti i vertici di Cosa nostra, ossia Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Nel 2002 sono stati condannati in primo grado, quali esecutori materiali dell’attentato, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia, entrambi all’ergastolo, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci a 14 anni di reclusione ciascuno.

Dice la sentenza: “Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”.

Carlo Alberto dalla Chiesa
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