Bruno Caccia (Cuneo, 16 novembre 1917 – Torino, 26 giugno 1983), magistrato italiano, è stato ucciso dalla ‘Ndrangheta a Torino. Quella sera, Caccia decise di lasciare a riposo la scorta e verso le 23:30, uscito dalla propria abitazione di via Sommacampagna per portare a passeggio il cane, venne affiancato da una macchina con due uomini a bordo. Questi, senza scendere dall’auto, spararono 14 colpi e, per essere certi della morte del magistrato, lo finirono con 3 colpi di grazia.
Caccia aveva iniziato la sua carriera nel 1941 quando aveva vinto il concorso per entrare in magistratura, prendendo poi servizio alla procura della Repubblica presso il tribunale di Torino, dapprima come uditore, poi come sostituto procuratore. A Torino era rimasto fino al 1964, quando era stato trasferito ad Aosta con il ruolo di Procuratore della Repubblica. Nel 1968 era poi tornato a Torino, prima come sostituto alla Procura Generale, e poi nel 1980 come Procuratore della Repubblica.
A Torino Caccia si era occupato delle violenze che si verificavano in occasione degli scioperi, all’epoca molto frequenti. Successivamente aveva avviato delle indagini sulle Brigate Rosse che portarono all’arresto dei suoi capi storici, Renato Curcio e Alberto Franceschini, e su quelli di Prima Linea con l’arresto di Roberto Sandalo. Nel 1976 era stato anche Pubblico Ministero nel processo contro il “nucleo storico” delle BR svoltosi a Torino.
Ma l’indagine che verosimilmente gli fu fatale fu quella sull’arrivo della ‘Ndrangheta in Piemonte. Per il suo omicidio sono stati condannati all’ergastolo prima Domenico Belfiore (capo storico della ‘Ndrangheta a Torino) nel 1992 come mandante e poi Rocco Schirripa nel 2015 come esecutore.
Nel marzo 2014, a trent’anni dalla morte del magistrato, il legale dei suoi figli ha presentato alla procura di Milano un esposto nel quale chiedeva la riapertura del caso per dirigere le indagini su Demetrio Luciano Latella, ex gangster del clan di Angelo Epaminonda, esponente milanese del clan dei cursoti di Catania.