La strage di Bologna del 2 agosto 1980 rappresenta uno dei capitoli più tragici e complessi della storia italiana del dopoguerra. L’attentato, avvenuto nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, causò 85 morti e oltre 200 feriti, segnando il punto più alto del terrorismo interno italiano.
L’attentato
L’esplosione, provocata da un ordigno contenuto in una valigia, distrusse l’ala ovest della stazione e parte della pensilina del primo binario, investendo anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea. La bomba, composta da una miscela di esplosivi militari (tritolo, T4 e gelatinato), era posizionata in modo da massimizzare i danni.
Le indagini
Le prime ipotesi ufficiali si indirizzarono erroneamente sull’esplosione di una caldaia, ma ben presto si delineò la pista terroristica di matrice neofascista. Nonostante numerosi depistaggi — orchestrati da settori deviati dei servizi segreti (SISMI) e personaggi come Licio Gelli (P2) — la giustizia italiana ha individuato nei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) gli esecutori materiali della strage. Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e successivamente Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini furono condannati. Negli anni 2020, le inchieste hanno identificato ulteriori responsabili, tra cui Paolo Bellini (ex Avanguardia Nazionale) e mandanti legati alla P2 e ai servizi segreti deviati.
Numerosi tentativi di sviare le indagini, inclusi falsi dossier e prove, attribuirono inizialmente l’attentato a complotti internazionali, coinvolgendo presunti terroristi stranieri. Questi depistaggi, pianificati da settori deviati del SISMI, furono finalizzati a nascondere le responsabilità interne e a disinformare l’opinione pubblica.
Desecretazione e ulteriori sviluppi
Nel 2014, una direttiva governativa desecretò i fascicoli relativi alla strage, rendendo pubbliche molte informazioni cruciali. Le recenti sentenze hanno ulteriormente confermato i legami tra i mandanti e la loggia massonica P2, evidenziando l’intreccio tra politica, terrorismo e servizi deviati.
Grazie al meticoloso lavoro dei consulenti dell’Associazione dei familiari delle vittime della Strage di Bologna, negli ultimi dieci anni sono emersi elementi cruciali dai documenti dei processi passati. Tra questi, spicca il cosiddetto “Documento Bologna”, rinvenuto nel processo sul crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Questo documento, insieme a un appunto attribuito a Licio Gelli, leader della loggia massonica P2, ha rivelato movimenti sospetti di 5 milioni di dollari prima della strage, tramite il fiduciario Mario Ceruti, presunto “cassiere” della P2 in Svizzera. Questi indizi hanno dato origine a una nuova istruttoria, nota come inchiesta sui mandanti, guidata dalla Procura Generale di Bologna.
Nonostante il nome, l’inchiesta non ha portato imputazioni dirette contro potenziali mandanti, ma ha rivalutato il ruolo di figure di vertice come Gelli, Umberto Ortolani, e Federico Umberto D’Amato, in quanto possibili finanziatori e ispiratori dell’attentato e dei depistaggi successivi.
Il Processo e le Condanne
Il principale imputato del nuovo processo è Paolo Bellini, condannato all’ergastolo per concorso nella strage insieme ai già condannati NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), a Gelli, Ortolani e D’Amato. Bellini, personaggio controverso legato all’eversione di destra, aveva un passato di latitanza in Brasile e di traffici illeciti, oltre a un ruolo in un filone parallelo della trattativa Stato-mafia. Le prove decisive contro di lui includono un video amatoriale che lo colloca sulla scena dell’attentato e il riconoscimento da parte della sua ex moglie, che ha smentito il suo alibi.
La sentenza di primo grado del 6 aprile 2022 ha condannato anche:
- Piergiorgio Segatel, ex capitano dei Carabinieri, a sei anni per depistaggio.
- Domenico Catracchia, ex amministratore immobiliare, a quattro anni per falsa testimonianza riguardo ai covi di via Gradoli a Roma, ritenuti collegati al SISDE e usati dai NAR.
Queste condanne sono state confermate dalla Corte di Assise di Appello l’8 luglio 2024.
Depistaggi e Nuovi Elementi
La strage è stata a lungo caratterizzata da depistaggi, orchestrati da esponenti dei servizi segreti e da appartenenti alla P2. Tra le figure coinvolte, emerge il generale Quintino Spella, capocentro del SISDE a Padova nel 1980, accusato postumo di depistaggio. Analoga accusa è stata mossa a Segatel, che avrebbe occultato informazioni su un imminente attentato di matrice neofascista.
Un ulteriore elemento di interesse riguarda via Gradoli, già nota per i legami con le Brigate Rosse durante il caso Moro. Nel 1981, i NAR disponevano di due covi nella stessa via, riconducibili a società legate ai servizi segreti. Questo intreccio rafforza l’ipotesi di una protezione istituzionale agli esecutori materiali e ai depistatori.
La P2 e il Reticolo Criminale
Secondo l’ipotesi accusatoria iniziale, la strage sarebbe stata orchestrata dai vertici dell’eversione neofascista, in particolare in Veneto e Roma, con un coordinamento della P2. Quest’ultima non solo avrebbe favorito il depistaggio, ma avrebbe avuto un ruolo attivo nella regia dell’attentato, utilizzando i NAR come esecutori materiali. Sebbene questa teoria non fosse suffragata da prove sufficienti nei primi processi, le nuove indagini e il processo Cavallini hanno fatto emergere elementi in grado di rivalutare il peso di queste connessioni.