referio Eversione,L'omicidio di Mario Amato L’omicidio di Mario Amato

L’omicidio Di Mario Amato

L’omicidio di Mario Amato post thumbnail image

La mattina del 23 giugno 1980, Mario Amato, sostituto procuratore della Repubblica di Roma, stava percorrendo a piedi Via Monte Rocchetta, poco distante dalla sua abitazione, per dirigersi verso Viale Jonio e prendere l’autobus della linea 391, che l’avrebbe portato alla città giudiziaria di Piazzale Clodio. La sua automobile era in riparazione, e il giorno precedente aveva richiesto una vettura d’ufficio, ma gli orari di servizio non gli avrebbero consentito di arrivare in Procura in tempo.

Non si accorse del giovane che lo seguiva da vicino. Giunto alla fermata dell’autobus, il militante dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) gli sparò un colpo alla nuca, uccidendolo sul colpo. Poco dopo, una telefonata rivendicò l’omicidio:

“Siamo i NAR, abbiamo ucciso noi il giudice Amato. Troverete un volantino nella cabina telefonica di via Carlo Felice.”

Il volantino, intitolato “Chiarimenti”, recitava:

“Abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro il sostituto procuratore dottor Amato, per la cui mano passavano tutti i processi a carico dei camerati. Oggi egli ha chiuso la sua squallida esistenza imbottito di piombo. Altri la pagheranno.”

Chi era Mario Amato

Nato a Palermo nel 1937, Mario Amato iniziò la sua carriera in magistratura negli anni Sessanta, dimostrando fin da subito un grande rigore professionale e una dedizione assoluta al lavoro. Dopo diverse esperienze, nel 1977 venne trasferito a Roma, in un periodo in cui la capitale era teatro di una drammatica escalation di violenza politica.

Il suo destino si incrociò con quello di Vittorio Occorsio, magistrato assassinato nel 1976 dai terroristi di destra per le sue indagini sui legami tra movimenti neofascisti, massoneria deviata e apparati dello Stato. Dopo la morte di Occorsio, Amato ereditò le inchieste sul terrorismo nero, un incarico che lo avrebbe posto al centro del mirino dei terroristi.

L’isolamento del magistrato

Mario Amato si trovò ad affrontare un compito immenso con pochissimi strumenti e senza alcun supporto. La Procura di Roma versava in una condizione organizzativa disastrosa, e il magistrato venne lasciato solo a gestire centinaia di procedimenti. Le sue indagini rivelarono non solo la pericolosità dei gruppi terroristici di destra, come i NAR, ma anche le loro connessioni con settori influenti della società, comprese famiglie borghesi, ambienti massonici e alcuni esponenti delle istituzioni.

Amato non nascose mai il suo senso di isolamento e le difficoltà a cui era sottoposto. Più volte, denunciò pubblicamente l’assenza di mezzi e di sostegno da parte della Procura. In un’audizione al Consiglio Superiore della Magistratura, nel marzo del 1980, dichiarò:

“Mi hanno lasciato completamente solo. Nessuno mi ha mai chiesto cosa stesse succedendo. Il carico di lavoro è immenso, la situazione dell’ufficio è disastrosa, e la mancanza di volontari è il risultato del clima di sfascio generale in cui ci troviamo. Non ce la faccio più da solo.”

Il memoriale e il clima ostile

L’isolamento di Mario Amato emerge con particolare chiarezza dal cosiddetto “memoriale”, una bozza di esposto scritta dallo stesso magistrato e inviata dalla vedova al Consiglio Superiore della Magistratura dopo l’omicidio. Nel documento, Amato denunciava non solo la mancanza di supporto, ma anche il clima ostile in cui era costretto a lavorare.

In particolare, il magistrato Antonio Alibrandi, figura controversa della magistratura romana e padre di uno dei fondatori dei NAR, Alessandro Alibrandi, avrebbe interferito pesantemente con il lavoro di Amato. Tra le accuse rivoltegli, vi era quella di aver ostacolato un’istruttoria della Procura e di aver cercato di influenzare Amato durante un processo contro 27 imputati di ricostituzione del partito fascista, definendo l’accusa come una “montatura”.

In un episodio particolarmente grave, Alibrandi avrebbe addirittura pronunciato parole di minaccia nei confronti di Amato, sostenendo pubblicamente che i terroristi facevano bene ad ammazzare i giudici “della Repubblica” come lui.

Questi episodi contribuirono ad alimentare il senso di isolamento di Amato, rendendolo un bersaglio sempre più vulnerabile.

Dopo l’omicidio: la reazione della magistratura

Due giorni dopo l’assassinio, il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura si riunì in un clima di forte tensione, influenzato dalla protesta dei magistrati della Procura di Roma. I colleghi di Amato chiesero garanzie per la propria sicurezza e la verifica delle responsabilità relative alla mancata tutela del sostituto procuratore.

Anche il procuratore capo di Roma, Giovanni De Matteo, venne sottoposto a un procedimento disciplinare per la cattiva gestione dell’ufficio e il mancato sostegno ad Amato. Tuttavia, il provvedimento di sospensione dalle funzioni e dallo stipendio venne successivamente annullato dalla Cassazione per motivi procedurali.

Le tappe del processo per l’omicidio di Mario Amato

L’omicidio di Mario Amato non rimase impunito, ma il processo per il suo assassinio fu lungo e travagliato. Diverse tappe processuali segnarono un percorso tortuoso, che coinvolse i principali membri dei NAR.

  1. Corte d’Assise di Bologna – 5 aprile 1984
    La Corte di Assise di Bologna condannò alla pena dell’ergastolo Gilberto Cavallini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Paolo Signorelli, quest’ultimo ritenuto concorrente morale nell’omicidio di Mario Amato.
  2. Corte d’Assise d’Appello di Bologna – 6 febbraio 1986
    Il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolvò Paolo Signorelli dai delitti contestatigli per insufficienza di prove, mentre confermò la condanna degli altri imputati.
  3. Corte di Cassazione – 16 dicembre 1987
    La Corte di Cassazione dichiarò inammissibili i ricorsi di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, confermando le loro condanne all’ergastolo. Rigettò anche il ricorso di Gilberto Cavallini. Tuttavia, annullò la sentenza nei confronti di Paolo Signorelli e rinviò il caso per un nuovo esame ad altra sezione della Corte di Assise d’Appello.

Il 16 dicembre 1987, la condanna passò in giudicato per Gilberto Cavallini, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.

  1. Corte d’Assise d’Appello di Bologna – 2 luglio 1988
    In seguito al rinvio, la Corte d’Assise di Bologna confermò la condanna di Paolo Signorelli per concorso per istigazione nell’omicidio di Mario Amato e concorso in attentato con finalità di terrorismo, ma escludendo l’aggravante di aver organizzato il delitto.
  2. Corte di Cassazione – 28 febbraio 1989
    La Corte di Cassazione annullò la sentenza della Corte d’Assise di Bologna e ordinò un nuovo esame da parte della Corte d’Assise d’Appello di Firenze.
  3. Corte d’Assise d’Appello di Firenze – 15 gennaio 1990
    La Corte d’Assise di Firenze, in sede di rinvio, riformò la sentenza della Corte d’Assise di Bologna, assolvendolo dai reati a lui ascritti.
  4. 23 aprile 1991
    La sentenza della Corte d’Assise di Firenze divenne definitiva, con il giudicato che assolse Paolo Signorelli dall’accusa di omicidio.

Gli assassini di Mario Amato

Alla fine del lungo processo, i condannati per l’omicidio di Mario Amato furono Gilberto Cavallini, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, membri di spicco dei NAR. Paolo Signorelli, inizialmente accusato di concorso nell’omicidio, venne poi assolto per insufficienza di prove.

L’eredità di Mario Amato

Solo dopo la morte di Mario Amato, la Procura di Roma formò un pool di magistrati per occuparsi delle indagini sul terrorismo politico. Grazie al lavoro e alle intuizioni di Amato, questo gruppo ottenne rapidamente risultati straordinari, cambiando il modo di lavorare non solo contro l’eversione di destra e sinistra, ma anche contro la criminalità organizzata.

Rimane emblematica la fotografia delle scarpe indossate dal cadavere del magistrato riverso sul marciapiede di Via Monte Rocchetta, con la suola bucata dall’usura. Chissà se i suoi assassini, figli di professionisti dell’alta borghesia, le avrebbero mai indossate.

Mario Amato
Mario Amato

Leave a Reply

Leggi anche:

omicidi di Antonino Fava e Vincenzo Garofalo

‘Ndrangheta Stragista‘Ndrangheta Stragista

L’operazione del 2017 della DDA di Reggio Calabria denominata ‘Ndrangheta Stragista rivelò il coinvolgimento della ‘Ndrangheta nelle operazioni stragiste degli anni ’90, in precedenza attribuite alla sola Cosa Nostra siciliana.