Nell’estate del 1979, un episodio oscuro della storia italiana si svolgeva silenziosamente lungo le rotte del Mediterraneo. L’operazione, nota con il nome in codice “Francis,” vedeva protagonista il “Papago,” una barca a vela di dieci metri di proprietà di Massimo Gidoni, psichiatra di Falconara Marittima e all’epoca membro delle Brigate Rosse. Fu Mario Moretti, il capo indiscusso delle BR in quel momento, a organizzare questa missione, destinata a intrecciare i destini del terrorismo interno italiano con le dinamiche geopolitiche del Medio Oriente.
Il 15 agosto 1979, il “Papago” salpò dal porticciolo di Numana, sulla Riviera del Conero, con a bordo Moretti, Riccardo Dura (leader della colonna genovese delle BR) e Sandro Galletta, un militante del fronte logistico veneto. La destinazione era un minuscolo arcipelago al largo di Tripoli, in Libano, per incontrare un gruppo di estremisti palestinesi dell’FPLP di George Habbash.
Il carico e l’incontro con l’FPLP
Il rendez-vous avvenne al riparo dell’isolotto Al-Ramkin, dove il “Papago” fu raggiunto da una motobarca libanese con equipaggio palestinese, che trasferì circa sei quintali di esplosivo al plastico, detonatori, inneschi e munizioni palestinesi a bordo del veliero italiano. Il carico rappresentava il contributo dell’FPLP all’arsenale brigatista in Italia.
L’accordo tra i palestinesi e le BR avrebbe previsto assistenza reciproca: le BR avrebbero custodito armi palestinesi e compiuto attentati contro obiettivi israeliani in cambio di addestramento, armi e supporto logistico. Secondo Antonio Savasta, bigatista pentito, il progetto, sostenuto da elementi marxisti all’interno dell’OLP, si inseriva in una strategia rivoluzionaria globale, presumibilmente monitorata anche dai servizi segreti sovietici.
Dal “Papago” ai missili di Ortona
Tre mesi dopo, il 14 novembre 1979, il sequestro di due lanciamissili Sam-7 Strela nei pressi di Ortona e l’arresto di Abu Anzeh Saleh, capo dell’FPLP in Italia, fecero emergere altri accordi simili tra i due gruppi. La cattura di Saleh scatenò una crisi diplomatica tra il governo italiano e la dirigenza palestinese, culminando con minacce di ritorsione registrate dai nostri servizi segreti.
Questo contesto di tensioni è stato messo in relazione con la tragica esplosione del 2 agosto 1980 nella stazione di Bologna, evento che alcuni analisti hanno ipotizzato fosse una risposta diretta alla violazione del “Lodo Moro”, una specie di patto di non belligerenza tra i palestinesi e gli italiani, senza però individuare elementi concreti a sostegno di tale ipotesi – che è oltretutto in contrasto con la verità processuale sull’attentato del 1980.
Il ruolo internazionale delle Brigate Rosse
Testimonianze come quelle di Antonio Savasta hanno contribuito in parte a chiarire il contesto di operazioni come quella del ‘Papago’.
Savasta ha rivelato i contatti tra le BR e una struttura internazionale basata a Parigi e denominata ‘Superclan’, della quale facevano parte Corrado Simioni, Vanni Mulinaris e Duccio Berio, soggetti che avrebbero preso parte insieme a Renato Curcio, Alberto Franceschini e Mario Moretti alla fondazione delle Brigate Rosse originali.
Il Superclan, con sede in Francia presso la scuola di lingue ‘Hyperion’ (Quai de la Tournelle, 27) secondo alcuni fungeva da raccordo con i movimenti rivoluzionari del Terzo Mondo. Secondo le indagini del giudice Rosario Piore, fu proprio questa centrale francese a facilitare il dialogo tra le BR e l’OLP, che avrebbe usato come tramite Abu Ayad (Salah Khalad – numero due di Fatah) con la benedizione dello stesso Yasser Arafat.
Il mistero di Hyperion e il “Grande Vecchio”
La Hyperion è stata a lungo avvolta nel mistero, accusata di essere un nodo strategico che collegava organizzazioni terroristiche internazionali come l’OLP, l’IRA, l’ETA e le Brigate Rosse, mentre intratteneva rapporti simultanei con agenzie di intelligence come la CIA, il KGB e il Mossad. Secondo alcune inchieste, mai del tutto approfondite, Hyperion rappresentava non solo un punto di riferimento logistico e ideologico, ma anche una sorta di “cervello politico” per i gruppi armati come le BR.
Savasta riferì che l’Unione Sovietica era probabilmente a conoscenza del coinvolgimento delle BR con l’OLP, e che la struttura internazionale parigina agiva in coordinamento con Mosca. Questa rete globale collegava i movimenti rivoluzionari europei, come la RAF tedesca, alle lotte di liberazione in Medio Oriente.
Il mistero del carico
Il carico del “Papago” fu destinato a un deposito strategico vicino a Treviso. La logistica prevedeva il trasporto delle armi dal Libano attraverso Cipro, per evitare di compromettere la loro origine palestinese. Secondo le rivelazioni di Savasta, gli armamenti erano contrassegnati con una “F,” indicativa del Fronte Popolare.
Il ruolo del gruppo Carlos
Le indagini hanno rivelato che l’estate del 1979 vide anche un’interazione tra le BR, il gruppo di Ilich Ramírez Sánchez, anche detto Comandante Carlos (nome in codice Separat), e l’FPLP. Annotazioni rinvenute in Ungheria collegano Savasta e altri brigatisti a operazioni coordinate con Carlos e l’organizzazione di Habbash.
Un quadro oscuro e inquietante
L’intera vicenda si inserisce in un contesto più ampio, che include le tensioni tra Italia e mondo arabo, la competizione tra i servizi segreti e il ruolo ambiguo del nostro Paese nello scacchiere internazionale. Ricostruire i tasselli di questo intricato mosaico non è solo un esercizio storico, ma un passo fondamentale per comprendere le dinamiche del terrorismo internazionale e i segreti mai svelati della Prima Repubblica.